domenica 28 luglio 2013

Hawkwind - Warrior on the edge of time (1975; Paganesimo Elettrico nr. 1)


Può darsi che qualcuno di voi abbia già scorso uno dei paganesimi elettrici di Evil Monkey, amministratore del blog omonimo. Già online, ora sono fruibili in un agile volumetto provvisto di introduzione chiarificatrice.
Anzitutto una breve definizione di paganesimo elettrico: esso è una nuova forma di recensione. Stanco dei consueti e snervanti giri di parole, Evil cerca di vivificare, in modo assolutamente nuovo, la consunta arte dell’elogio (o della stroncatura) musicale. In che modo? “Non si è rinunciato ai dischi preferiti …” scrive “ma si è cercato di collocarli, ricontestualizzandoli per semplici associazioni di idee, in una prospettiva ... letteraria tutta differente. Ne sono così risultate recensioni romanzate, o meglio romanzesche … che inseriscono un gruppo rock, un suo album, la sua storia, in uno scenario spazio temporale completamente differente”.
Ogni paganesimo ha un album di riferimento ed è connesso ad altri dischi a latere. Facciamo un esempio: La battaglia di Deorham, primo Paganesimo, trae ispirazione e suggestione dall’omonimo disco degli High Tide ed è ambientato, appunto, al tempo della battaglia di Deorham o Dyrham combattuta nel 577 fra  i Britanni e i Sassoni, che, vincitori, occuparono Gloucester, Bath (la romana Aquae Sulis) e Cirencester (Corinium); a margine di questo corpo centrale abbiamo altri ammicchi musicali: Misunderstood, Third Ear Band, Wishbone Ash, Juicy Lucy, Hawkwind.
E perché proprio tali collocazioni temporali pagane (anche gli altri scritti evocano epoche astoriche e leggendarie)? “Il paganesimo” afferma Evil “qualunque paganesimo … rappresenta la resistenza, l’alternativa all’egemonia del pensiero dominante … proponendo un nuovo orizzonte culturale, una diversa visione del mondo e delle sue leggi …”. In questo il Nostro è in buona compagnia: anche Nietzsche nell’Anticristo si lamentava: “Quasi due millenni e non un solo nuovo Dio!”. Il monoteismo, insomma, liquidando definitivamente le antiche divinità, e asservendosi alla metafisica greca, ha progressivamente soppresso qualsiasi vitalità creatrice. Nessun dio ci sussurra più nelle foreste e presso le fonti; i templi da cui vociferava la Pizia vanno in rovina; ogni preghiera esce già disseccata da cuori indifferenti. Il paganesimo, quindi, come il politeismo ancora superstite (degli aborigeni australiani, delle popolazioni native di tutti i continenti), oltre a servire da avamposto per la battaglia contro l’omologazione del Nuovo Potere pubblicitario e turbo capitalista, è IL rifugio, necessario, per qualsiasi artista che voglia trovare sacche creatrici ancora incontaminate.
Il mio post sulla Third Ear Band e la serie della musica popolare ispirata dalle riflessioni di Pasolini vanno in tale direzione (e sono il motivo principale per cui questo blog “refuses to die”).
Ancora qualche parola sul destino della recensione che Evil analizza nell’introduzione. Egli parte da una triplice considerazione: 
1. I blog, quasi tutti, esauriscono il proprio compito nell’esaltare il proprio corredo di album favoriti. Ne nasce, per ciò stesso, un florilegio di glorificazioni spesso grottesche (si suona la tromba per gruppetti progressive italiani che suonavano nel tinello o per formazioni di quart’ordine pompate in ragione della loro emarginazione o di una storia artistica bislacca). 
2. Ha ancora senso, nel 2013, quando un album si può scaricare comodamente a casa, a costo zero, recensire un disco? In altre parole è utile scrivere di rock quando l'utente medio ragiona in tal modo: mi scarico il disco, se mi piace bene, lo masterizzo, altrimenti, con un colpetto di mouse cestino quegli MP3 importuni, e sotto con il prossimo, ci metto un attimo, non ho bisogno del tuo giudizio, ragazzo.
3. Qualcuno ascolta ancora album nella propria interezza? O piuttosto crea le proprie playlist personali, ignorando la filologia delle discografie, ben impilate per autore e anno? 
Da tali riflessioni Evil parte per organizzare la nuova arte della recensione, che abbiamo prima esposto.
Con tali riflessioni sono, tuttavia, solo in parte d’accordo. Risponderò con una triplice difesa della funzione del blogger (e delle riviste musicali: di quelle più avvertite).
1bis. Il mercato è in continua espansione. C’è bisogno di scrematura. Non solo rispetto al futuro, ma, ancor di più, verso il passato. Il problema è proprio l’enorme disponibilità venutasi a creare con il web. Fino a metà degli anni Novanta quanti album si riusciva ad ascoltare nella propria vita? Cinquecento? Sempre i soliti, comunque. Nel migliore dei casi Led Zeppelin, Beatles, Rolling Stones, Hendrix, Neil Young, Pink Floyd, progressive, metal, californiana et cetera. Alcuni di noi si spingevano verso Zappa e Beefheart, ma già Fowley, Fugs, Third Ear Band, Pere Ubu, Faust, Klaus Schulze rimanevano, in media, puri nomi. Quando si parlava fra di noi i gruppi e gli autori che emergevano erano i soliti. L’ostacolo era non solo il prezzo, ma l’effettiva disponibilità dei titoli e, soprattutto, la mancanza di testi che ragionassero della totalità della musica prodotta: veniva impedita alla fonte una considerazione estetica generale e definitiva della musica rock prodotta sin lì. Con gravi omissioni e sopravvalutazioni. Ora è tutto cambiato: siamo stati letteralmente alluvionati da decine di migliaia di nuove opere; quelle nuove e soprattutto quelle più risalenti (che ignoravamo del tutto). Si rende necessaria, quindi, una quadrata legione di filologi, filosofi e gente dallo stomaco di ferro che ascolti TUTTO e decida LE NUOVE GERARCHIE sonore. C’è gente che ascolta cento dischi in tutta la vita: a sedici anni canticchia Hey Jude, a cinquanta si ritrova sulla spiaggia a tentare Hey Jude con Eko acustica di ordinanza (è successo a me: ai primi accordi mi è preso un moto di nervosismo che è sfociato in una bella litigata: “Ancora con questa cazzo di Hey Jude!”; donne imbarazzate, atmosfera serotina irrimediabilmente rovinata; scandalo e disdoro sulla protervia di Tepes). Il primo a provvedere un solido grimaldello per scassinare le graduatorie acquisite fu Piero Scaruffi, comunque lo si voglia giudicare. Di Scaruffi spero ne nascano a centinaia. Il suo cappello alla recensione (piuttosto liquidatoria) della discografia dei Beatles è un classico del nuovo atteggiamento, che approvo in pieno e spero dilaghi. Per questo motivo nel mio blog ho spesso infierito sui Led Zeppelin, nel post sui loro plagi o in quello sugli AC/DC: non perché li ritenga degli untorelli (anzi mi piacciono), ma in odio al giudizio cristallizzato e imbozzolato su di loro (il feticcio Stairway to heaven! Non provate accordi con la EKO quando ci sono io o ve la sfascio sulla zucca). La tradizione belante e incondizionatamente positiva sui Led Zeppelin (fasulla, poiché si basa su dati incompleti) blocca la ricerca filologica su altri, numerosi gruppi hard rock, seppelliti nelle pieghe del tempo e dell’anonimato, meritevoli di ascolto o addirittura, in qualche caso, meritevoli di figurare più in alto degli inglesi nella considerazione storica (per questo ho ideato la serie Fools, villains oppure Early British punk: non si può passare la vita a sentire solo Never mind the bollocks). Questo ci porta a:
2bis. la recensione serve perché rende chiaro il passato, allarga la conoscenza e rende scettici e sanamente irriguardosi riguardo il marketing pubblicitario delle case discografiche. Bene, mi vuoi rifilare i Puddle of Mudd o Limp Bizkit o l’ultima frattaglia dei Queen o Vasco Rossi come il top? Ma ho già ascoltato Melvins, Germs, o la discografia sotterranea dei Type 0 Negative o Claudio Lolli: cosa vuoi che me freghi di queste rock ‘n’ roll swindles? Mi pigli per i fondelli, maledetto venduto?
Ancora: il blogger ha, a sua disposizione, per affermare tale visione del mondo anche la recensione silente: su ciò che si aborre e di cui ci si vuole liberare (o vendicare) deve calare un silenzio chiarificatore. Vedrete mai un mio post sui Queen? Ne dubito. Gianfranco Contini ignorò del tutto Elsa Morante. Scandalo! Ma Contini aveva una propria idea di letteratura e la Morante non gli sfagiolava. Che protestassero pure i puri di cuore. Il silenzio è la migliore stroncatura. Bisogna diventare irriverenti, profanare le chiese pubblicitarie, azzannare le gole mainstream, officiare maledizioni nell'oscurità, inscenare guerriglie impopolari, mozzare le mani al giudizio acquisito, annientare le cittadelle del luogo comune: Rolling Stone, XL e pattume simile.
3bis. La credibilità del blogger: se Webbaticy (ma potrebbe essere La Scighera o altri che trovate nel blogroll) mi fa una recensione positiva e invitante dello sconosciuto Daniele Patucchi, mi tocca scaricarlo e andarlo a sentire. Perché Webbaticy ascolta migliaia di dischi, seleziona, ridimensiona (vedi, da ultimo, i Pavement), ricerca, risente, insiste; non guadagna niente da tale attività (anzi), non ha pregiudizi, ma solo una visione estetica derivata da una vita dedicata al rock; possiede, quindi, una propria credibilità: se mi dice che Patucchi è da sentire lo prendo sul serio; se Rolling Stone assegna cinque stellette a Tizio o Caio mi faccio una risata (potrei aver torto in qualche caso, ma, per la legge dei grandi numeri, quasi mai).
Insomma le recensioni sono ancora necessarie. Adesso molto più di prima. E basta delegare il proprio gusto agli altri. I maestri servono come necessaria prima guida, poi ognuno dovrà diventare un esploratore sonoro e il proprio Greil Marcus.

3 commenti:

  1. Thankyou for all you do. xx It is very much appreciated! :)

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  2. Un bellissimo, per cui ti ringrazio.
    E anzi ne apprifitto pure per salutarti, assieme a tutti i passeggeri del blog, perche' sono in partenza e spero di riprendere le trasmissioni alla fine di agosto.
    Nel frattempo: resistere!!

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  3. Ottime riflessioni. Sottoscrivo in pieno, attendendo la tua "recensione pagana" su Buckley.

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