lunedì 11 agosto 2014

Pelican - Australasia (2003)


Album strumentale di mesozoica graniticità e geologica scossa tellurica, prodotto negli anfratti orfici in cui furono precipitati la Gerusalemme degli Sleep, le anfetamine degli Earth e i mantra degli Om.
Lunghi brani che coniano, rinnovano, resuscitano forse, un metal chitarristico progressivo ma schietto e ruvido, direttamente dalle sabbie rosse di Joshua Tree, senza l'alea e il free form totale di un Haino, o il rumorismo di un Brötzmann, ma con l'impatto deformante dei Boris prestati a monologhi che, se a prima vista appaiono flussi destrutturati, sono in realtà incastri meccanici di riff, armonie e ritmi colossali ma pur sempre riconoscibili, addirittura accattivanti; come quando il vento spazza le dune e lascia affiorare le ossa del titano sepolto.
Il dialogo finale di NightEndDay, chitarre che si danno le spalle, schiena contro schiena, parlandosi addosso; l'assalto maledetto dei carri armati in Drought, che avanzano tra popoli di pastori avvolti solo in bandiere verdi, rosse e nere. Una Reign in Blood per un emisfero davvero al buio, mai artatamente horror o fintamente violento, mai auto indulgente, nemmeno nell’enfasi di Angel Tears, inno per una nazione senza più parole. C'è la subdola pressione psicologica al prigioniero altre le linee nemiche, la contestazione all'ordine costituito che culmina con l'assalto caotico ai Wall-Mart di un popolo di consumatori zombie che si mangiano l'un l'altro con perverso compiacimento.
Come se le grandi jam della Baia o del southern - Gold and Silver, Whipping Post, Dark Star - fossero state ricoperte da colate di lava luminescente, solidificatasi nella schiuma dell’oceano, in cordoni di basalto nero che lasciano appena trasparire la melodia sotto un perenne drone sotteso a tutto il racconto, che diventa eco di abbandono nostalgico nell'ultimo capitolo dell'avventura.
Finchè la faglia non arriva talmente in profondità nella crosta continentale da esplorare tutti i colori del rosso, per riemergere su di un lembo di spiaggia al tramonto.
Pelican: notevole (e personale) riscoperta di inizio millennio.

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1 commento:

  1. Rileggendo ora forse ho usato il termine 'progressive' a sproposito, o forse è solo che quando nella stessa frase compaiono 'prog' e 'metal' si pensa sempre solo ai Dream Theater.
    P.S. L'album mi risulta essere del 2003

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